L’IMMORALE DELLA FAVOLA
1
“Raccontami una favola; per favore…”.
Una cameretta in penombra, avvolta nei colori pastello. Una cameretta piena di
giochi, di sogni, di disordine ordinatissimo. Raccontami per favore. Così implora lei,
4 anni appena compiuti dentro un pigiamino non ancora troppo trasparente, non
ancora consumato da notti insonni ad aspettare spiegazioni, a piangere, a tracciare
bilanci.
“Una nuova, una che non ho mai sentito. C’era una volta, una volta sola… Ti prego,
comincia”.
Lei aspetta con gli occhi spalancati e il peluche sotto il mento; ma non c’è nessuno:
una cameretta, una bambina, una finestra che si apre sul buio di una notte qualsiasi.
La mamma è di là, forse in salotto, forse è uscita. Andrebbe bene anche un fratello
maggiore, una tata, un papà… Niente da fare, la storia non comincia. C’era una volta,
si dice così, che ci vuole? C’era una volta.
C’era una volta una bambina abbracciata al suo peluche che attendeva una favola per
potersi addormentare.
2
Non sa leggere, la piccola. Un giorno imparerà; un giorno anche lei potrà scrivere,
inventare, raccontare. Raccontare fiabe o entrarvi dentro, dalla porta principale.
Incontrerà principi azzurri e di altri colori. Srotolerà trecce giù dalla finestra e – a
malincuore – bacerà rospi con il sorriso sulle labbra.
Ma adesso è presto, troppo presto. Adesso c’è una bambina raggomitolata in un letto,
circondata da giocattoli assonnati che attende il suo “c’era una volta”. Stasera no;
stasera niente regine, niente orchi, draghi o burattini di legno. Oggi i “grandi” sono in
sciopero; non hanno voglia di inventare e neppure di leggere, nonostante qui i libri
siano tantissimi, di tutte le forme, di tutti i colori. Ancora silenzio: un letto, mille
giochi, una bambina e il suo peluche.
“E vissero tutti felici e contenti…”. Queste sei paroline magiche, un tempo, erano il
segnale convenuto per spegnere le luci ed elargire il bacio della buonanotte. Ma
capita, ogni tanto, che la notte si allunghi a dismisura e sembra non finire mai.
C’era una volta una bimba che, stufa di aspettare, abbandonò il lettino e decise che la
fiaba, la sua fiaba, doveva procurarsela da sé.
3
Si arrampica sul letto, si aggrappa allo scaffale traboccante di libri sopra la testiera;
vuole prendere il più grande, quello con la copertina rossa, quello pieno di figure che
si può leggere… senza leggere. Allunga la mano, distende le gambe per poterci
arrivare. Un piedino si sposta, resta senza appoggio; è un attimo: c’era una volta una
bimba desiderosa di fiabe che s’inerpicò per afferrarne una e cadde sul pavimento.
Precipita giù portandosi appresso libri, bambole, orsetti, matite, quaderni, giochi,
batterie scariche e figurine. Resta così, accanto al letto, con il viso schiacciato sul
parquet. Lei sotto, tutto il resto sopra: giocattoli e fiabe, pupazzi e ricordi di
compleanno avvolgono i suoi capelli, scivolano sul pigiama e si fanno strada lungo le
pieghe di un corpicino dolorante.
“Ahi, che male…! Cosa mi è successo?”. Prova a girarsi, tenta di rimettersi in piedi
ma non ce la fa. “Male, male, mi fa male…”, ripete ancora con una voce sottile,
impercettibile, che nessuno sembra raccogliere.
4
“Ti fa male, ti fa male... smetti di lamentarti, basta con questa lagna!”.
Una cameretta al buio, una bimba sdraiata in terra e nessun altro. Chi ha parlato?
“Chi sei? Dove sei? Ti sento e non ti vedo. E poi nessuna lagna: mi son fatta male
davvero, non riesco nemmeno a muovermi…”.
“Gira la testa, sono qui, proprio vicino al tuo naso; mi vedi?”
“Sei… sei tu che parli? O è un sogno?”.
Un soldatino verde; un banalissimo soldatino di plastica con il suo piedistallo, il suo
fucile, l’elmetto. Verde il piedistallo, verde la pelle, verde il fucile, verde lo sguardo.
Un fante, non si sa di quale esercito. Chissà da che scatola è uscito, chissà dove sono
i suoi “commilitoni”. Un soldatino che finora era sempre stato buono, zitto,
impassibile con il suo fucile imbracciato. Zitto e buono sullo scaffale, tra i libri. Ora
che è venuto giù, ora che è crollato sul pavimento ha deciso che basta. Basta starsene
buoni buoni a respirare polvere. Basta tenersi in disparte, lontano dai campi di
battaglia, lontano dalla luce, adombrato da mille giocattoli più nuovi, più rumorosi,
più colorati.
5
“Ah, sei il soldatino… non ho mai giocato con te; non so nemmeno se sei ‘mio’ o se
sei stato dimenticato in camera da qualche cuginetto… sai parlare? Da quando?”
“Forse no, forse non sono io che parlo; sei tu a darmi la voce… In ogni caso son
contento. Contento di fare due chiacchiere dopo anni di vita in un angolo buio,
seppellito dalla polvere e dalla noia”.
C’era una volta una bambina che voleva ascoltare una fiaba. Chiamava, piangeva,
supplicava affinché qualcuno l’accontentasse. Infine decise di far da sola; fu così che,
cercando di afferrare un libro, mise un piede in fallo e cadde sul pavimento. Fu così
che si mise a parlare con un soldatino verde.
“Niente da fare, non riesco ad alzarmi. Voi soldatini dovreste essere abituati: la
guerra, la trincea, i proiettili che vi sfiorano gli orecchi… Chissà quante volte il
sangue, il dolore, la paura… Vuoi aiutarmi?”.
“Piccola mia, io la guerra non l’ho mai fatta…”.
“Non avrai fatto quella ‘vera’, va bene. Ma per gioco sì, che diamine. Per questo sei
stato costruito; per questo, poi, ti hanno ficcato dentro una scatola assieme a tanti altri
guerrieri. Tu con il fucile, un altro sdraiato con il mortaio, un altro con la spada
sguainata; e poi i cavalieri, i carristi, gli infermieri, i cambusieri… ecco adesso mi
farebbe comodo un infermiere. Insomma mi aiuti o no?”
“Mia cara, non so come fare. Ma se vuoi posso provare io a raccontarti una
favola…”.
6
C’era una volta una bambina che non riuscendo a dormire andò a cercarsi una fiaba.
Finì bocconi sul pavimento e si sorprese a parlare con un soldatino verde. Il
soldatino, per consolare la piccola, principiò a narrare una favola.
“C’era una volta un soldatino verde; uno come tanti, uno di quelli che capita di
trovare sul fondo di uno scatolone dimenticato in soffitta, seppellito tra bambole
graffiate, pupazzi mutilati e automobiline senza ruote. Un soldatino rimasto solo, che
aveva perduto il suo comandante, il suo battaglione. Aveva perduto anche la guerra?
Questo non lo sapeva; anzi, forse la guerra non l’aveva mai fatta. C’era una volta un
soldatino che voleva fare la guerra…”
“Vai avanti, vai avanti…! Ma è davvero una favola o stai parlando di te?”.
La bambina prova a rialzarsi, punta i piedini, allunga le braccia. Niente da fare:
ancora in terra, ancora il viso schiacciato sul parquet. “Dai, continua a raccontare…”
Il soldatino prosegue: “… Voleva fare la guerra ma non sapeva dove andare, contro
chi combattere. E se la guerra è già finita? E se il mio è l’esercito sconfitto? E il
nemico di che colore sarà? Il soldatino voleva fare la guerra ma non sapeva
assolutamente da dove cominciare”
7
“Un soldatino che non sa combattere? Un guerriero incapace di fare la guerra?”
La piccola è incredula, si sente anche presa in giro. “Un soldatino che parla e
racconta favole... Ma dai. Come faccio a crederci? Son costretta ad ascoltarti giusto
perché non riesco a muovere neppure un dito. Se solo riuscissi a risalire sul letto… Se
potessi rifugiarmi sotto le coperte allora ti direi arrivederci o addio per sempre. Con
tanti saluti a tutti gli eserciti di plastica verde, con o senza piedistallo”.
C’era una volta una bimba insonne che desiderava la fiaba della buonanotte. Nessuno
l’ascoltò e lei, cercando di far da sola, precipitò in terra. Quindi incontrò un soldatino
verde capace di parlare e anche di raccontare favole.
“Va bene, va bene, continua…”.
“… Voleva fare la guerra, assolutamente; pur non sapendo né come né dove, caricò
il fucile e si mise in cammino. Passarono i giorni e le notti; giorni e notti ad
attraversare città, a scalare montagne, a guadare fiumi. Ma la guerra no: nessun
nemico da aggredire, nessun carro armato, nessun comandante, niente di niente.
Tanta fatica per nulla; tanta fatica e tanta fame.
Raggiunta una fattoria agguantò il Brutto Anatroccolo, gli tirò il collo e se lo pappò.
Fu un’azione rapidissima, degna di un incursore dei Marines. Il Brutto Anatroccolo
finì in pentola ben prima di diventare cigno. Anche perché – e questo il soldatino lo
sapeva bene – gli anatroccoli sono anatroccoli e i cigni sono cigni, inutile
raccontarsi favole…”.
8
C’era una volta un soldatino verde che incontrò una bambina sul parquet; la bambina
piangeva, diceva che aveva male dappertutto e che non riusciva neppure a muoversi.
Il soldatino, per consolarla, le raccontò una fiaba.
“Ma che dici? Il Brutto Anatroccolo spennato e cucinato… Così rovini tutto, caro il
mio soldatino. E come si fa, ora, senza il cigno bianco ammirato e invidiato da tutti al
centro dello stagno? Comunque fammi sentire il seguito”.
“Il soldatino continuò per giorni, per settimane il viaggio alla disperata ricerca di
una guerra; una guerra qualunque, anche piccolina, anche un solo colpo di fucile,
una pugnalata, una bastonata… Niente da fare, solo stanchezza; stanchezza e fame,
di nuovo. Così entrò nella casa dei Tre Porcellini, fierissimi di abitare una magione
fatta di mattoni e cemento. Il soldatino disse subito loro che quella non era una casa
ma un porcile. Disse poi che lui, benché non fosse un lupo ma solo un soldato senza
guerra, doveva pur mangiare; e la carne di maiale, aggiunse, è saporita e nutriente.
Sgozzò i tre suini, li scuoiò e con questo si garantì una scorta alimentare sufficiente
per tutta la stagione invernale…”.
“Ora anche i Tre Porcellini? Tutte le fiabe vanno in malora, con te. Il lupo cattivo è
molto meno cattivo del soldatino di cui parli. Le mie favole, quelle che mi facevano
chiudere gli occhi abbracciata all’orsetto di peluche che fine hanno fatto? E vissero
tutti felici e contenti con Biancaneve che si ridesta, Cenerentola che sposa il principe,
Cappuccetto Rosso che riabbraccia la nonna… Che mi dici di loro?”.
9
C’era una volta una bambina di quattro anni che piangeva nel suo letto, aspettando
qualcuno che le raccontasse una fiaba. Capelli castani, occhi verdi e curiosi. Siccome
nessuno la volle accontentare, ella tentò di afferrare un libro per far da sola ma,
messo un piede in fallo, cadde tramortita sul parquet.
Tutto questo lo sappiamo già. Non sappiamo come si chiamava, questa bimba dai
capelli castani e lo sguardo curioso. Sappiamo, però, che mentre tentava di rimettersi
in piedi dialogò a lungo con un soldatino verde il quale, per cercare di tenerla su, le
raccontò una favola.
“Non mi piace. Il Brutto Anatroccolo che resta anatroccolo e finisce spennato e
arrostito. I Tre Porcellini che fanno la stessa brutta fine. Insomma, un po’ di magia,
un po’ di atmosfera… fiabesca, che diamine! Continuando così cosa accadrà a
Pinocchio?”.
Il soldatino scrolla le spalle e prosegue nel racconto: “Ormai era chiaro che guerre
non ce ne stavano. Inutile insistere, inutile ammazzarsi di fatica a valicare monti,
attraversare boschi dormendo sotto le stelle col rischio di essere aggrediti non dal
nemico (niente guerra niente nemici) ma da qualche cane da guardia. Decise infine
di smettere il viaggio e si fermò alla periferia di una piccola città. Qui incontrò
Pinocchio che, ridendo a crepapelle, lo invitò a seguirlo. Era arrivato nel Paese dei
Balocchi. Dopo Pinocchio s’imbatté in Lucignolo, entrambi contenti di stare dove
stavano, ben lungi dal divenire somari. Anzi, alle porte del Paese c’era la Fata
Turchina che supplicava di unirsi ai giochi ma nessuno le dava retta. E mastro
Geppetto? Presente anche lui; professione: sindaco del Paese dei Balocchi. Mai
intagliato burattini; mai finito nella pancia di una balena. Mai fatto il falegname…”.
10
Una bambina con gli occhi verdi e i capelli castani. C’era una volta una bambina
così, che tentava di tornare nel suo letto dopo una brutta caduta. Mentre si lamentava
per il dolore, provando e riprovando a rizzarsi in piedi, iniziò a sentire freddo. Un
freddo pungente, anomalo, soffocante. Tremava e piangeva e le pareva che nessuno
la sentisse. Neppure lei era sicura di sentire, di vedere. Il viso gonfio, appiattito sul
pavimento, attorniato da pupazzi, giocattoli, libri venuti giù nella caduta. C’era anche
un soldatino verde.
C’era una volta una bimba che tremava dal freddo e dal dolore. Nella sua testa
ovattata sentiva solo la voce di un soldatino che raccontava fiabe inverosimili.
Geppetto che fa il sindaco, Pinocchio che vivrà per sempre nel Paese dei Balocchi,
Pollicino che si scopre fratello dei Sette Nani. Poi la Sirenetta che finisce in una
tonnara, la Bella Addormentata nel Bosco divorata dai lupi…
I soldatini verdi non son capaci di parlare, né di raccontare favole. Non son capaci
neppure di partire per la guerra. I soldatini verdi, quando cadono, non si fanno male.
Restano soldatini verdi con il piedistallo, il fucile, il casco, lo zaino.
Una bambina accasciata nella sua cameretta, pochi centimetri dal suo letto. Parla con
un soldatino verde, o almeno crede di farlo.
“Ehi, mi senti? Vuoi sapere o no come va a finire la favola?”
Lei non sente. Non sente più.
C’era una volta una bambina con gli occhi verdi e i capelli castani. Ma il soldatino
verde non è d’accordo. Il soldatino verde sta cercando di districarsi in una foresta di
capelli appiccicosi, zuppi. Anche se è buio il colore si vede; si vede e si sente. Capelli
rossi.
Rosso sangue.
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